venerdì 6 giugno 2025

I coach con 15.000 folowwers su Instagram e mezzo commento

 Parliamo oggi di una categoria assai disagiata.

I coach con 15.000 followers su instagram (o anche di più eh).

Qualche reel pieno di metodi segreti vincenti e promesse di risultati certi.

Qualche grafichetta impostata di Canva ricca di perle.

Qualche video promozionale con spezzoni riciclati  di gare IronMan (non loro).

Qualche foto con filigrana per celebrare  qualche atleta che portato al traguardo.

Ma il capolavoro arriva nei commenti.
Un solo commento.
Sempre lo stesso.
Quel solito, eterno, immancabile 🔥. 

Generato da qualche bot in India.

15.000 followers ma sotto ogni post zero conversazioni vere.
Nessuna domanda. Nessun atleta. Nessun confronto.

Solo un fuoco finto.
Finto come l'empatia.
Finto come il il coinvolgimento.
Finto come il quel “coach mindset” ripreso da Pinterest.

Il problema non è avere i follower.
Il problema è credere che quello sia coaching. 


 

giovedì 5 giugno 2025

I messaggi e l'arte di saper aspettare

Modestamente – ma neanche troppo – ritengo (ma me lo dicono anche gli altri eh) di avere un ottimo rapporto con i miei atleti.

E sì, è vero. Un buon rapporto significa essere disponibili, ascoltare, supportare, esserci. Ma attenzione, perché qui casca l’asino (e spesso anche il coach, figure che a volte coincidono): non significa rispondere a ogni messaggio in tempo reale.

Perché no, non è mancanza di rispetto. È strategia. È empatia. È buon senso.

Viviamo nel mondo del “subito”. Messaggio su WhatsApp? Rispondi. Notifica su Telegram? Rispondi. Commento su Instagram? Metti il cuoricino. Ora.

Ma il coaching non è customer service. Non sei un bot. Sei un essere umano. E quello che dici, ha un impatto.

Ci sono messaggi che arrivano a caldo. Dopo una gara storta. Dopo un allenamento deludente. Quando l’atleta ha finito le energie, il buonumore e pure la pazienza.

E lì, la risposta immediata è spesso benzina sul fuoco.

Sì, lo so, costa. Costa resistere alla tentazione di “essere bravo”, “essere presente”, “far vedere che ci sei”. Ma a volte esserci davvero significa saper aspettare.

Aspettare che si sgonfi l’emotività. Aspettare che la testa torni a ragionare. Aspettare che anche tu possa leggere quel messaggio con la giusta lucidità.

Perché rispondere di pancia è un attimo. Ma poi ci restano male, oppure fraintendono, oppure tu ti incazzi ancora di più.

E invece bastava un’ora. Una notte. Un giorno.

Quando rispondi, non stai mandando un messaggio. Stai gestendo un rapporto umano.

E ogni risposta costruisce o distrugge. O almeno, indirizza.

A volte la risposta giusta è un “Capisco.” A volte è una domanda. A volte è “Parliamone domani.” A volte… non è ancora il momento.

Questo vale per chi, come me, ha un’idea precisa di coaching: relazione, ascolto, presenza vera.

Il bravo coach non è quello che risponde (necessariamente) in 30 secondi. È quello che risponde quando serve, nel modo giusto, col tono giusto, nel tempo giusto.

Perchè sì, pure questo rientra nella lista dei mille cazzi che riguardano l'arte del coaching. 

martedì 3 giugno 2025

Il coach bollito

 


C’è questa storia della rana.
La metti nell’acqua fredda e poi inizi a scaldare, piano piano. Lei resta lì. Non se ne accorge. E alla fine… cuoce.
Non salta fuori. Non capisce che sta per morire.
Noi coach? Uguali.
Solo che al posto della pentola c’è l’Intelligenza Artificiale, e al posto del fornello ci sono gli algoritmi di TrainingPeaks, le API di Strava e il nostro ego tecnico.

Non fraintendiamoci. Le piattaforme sono utili, io le uso ogni giorno.
Ma se pensi che il tuo valore come coach stia solo nel creare una tabella settimanale con 3 colorini e un TSS medio, sappi che c’è un algoritmo che lo fa più veloce, più preciso e senza le tue lagne del lunedì mattina.

E questo algoritmo non si stanca, non va in crisi esistenziale, e soprattutto… non sbaglia mai il passo di una ripetuta.

 Ma allenare non è programmare

Un vero coach non è uno che “mette le righe nel foglio”.
È uno che sa quando non farlo.
Che capisce se l’atleta è in down non perché ha 7 giorni rossi nel calendario, ma perché ha perso la motivazione, si sente una merda o si sta separando.

La fisiologia si misura.
La testa no.

Andy Kirkland ha pubblicato uno studio che dice una cosa chiara:

"I coach imparano più dall’esperienza sul campo che dai corsi ufficiali."

Per forza. I corsi sono pensati per vendere badge.
Ma il mestiere vero lo impari ascoltando gli atleti, sbagliando le programmazioni, chiedendo scusa, facendo domande intelligenti.

Sai qual è il miglior indicatore di un coach efficace?
Quanto dura il rapporto con l’atleta.
Non il suo VO2max. Non il tempo in gara.
Ma quanto resta con te.

Il problema è che tanti coach (troppi) si fissano PREVALENTEMENTE sui numeri.
Zone, soglie, W/kg, HF, LT2, MLSS, pippe varie.
Poi l’atleta molla.
Perché non si sente capito.
Perché ogni messaggio che ti scrive riceve un “Thumb Up” come risposta.
Perché tu sei più interessato al grafico del suo picco di potenza che al fatto che sta perdendo fiducia in sé stesso.

  • Parla con i tuoi atleti. Davvero. Non solo “com’è andata?”

  • Chiedi: “Come ti sei sentito?”, “Perché pensi sia andata così?”

  • Impara ad ascoltare anche le pause, i silenzi, gli “è andata bene dai” detti a mezza voce.

  • Costruisci fiducia. Non performance.

  • Se il rapporto tiene, la prestazione arriva. Se il rapporto si rompe, puoi anche aver scritto la tabella perfetta… ma non servirà a niente.

    Vuoi evitare di diventare una rana bollita?

Vuoi evitare di diventare QUELLA rana bollita?

Allora smettila di essere solo un tecnico.
Diventa un coach nel senso vero del termine: presente, curioso, coinvolto, umano.

Perché l’algoritmo è bravo. Ma non può credere in un atleta quando nemmeno lui ci crede più.

E quella, caro mio, è ancora roba solo nostra.

venerdì 30 maggio 2025

Quello che un coach può dare in più dopo tanti anni

 


Spesso volte mi chiedo cosa posso dare in più ai miei atleti.

E' uno dei miei pensieri fissi.

Cercare di proporre il meglio che posso,  il maggior valore che un coach possa offrire.

Il discorso vale soprattutto per gli atleti che alleno da più tempo, dei quali conosco qualsiasi pregio, difetto e abitudine ma verso i quali io stesso sono un libro aperto.

E il rischio dei libri aperti e letti, è che si conosce già il contenuto.

E allora è necessario inventarsi sempre, almeno ad ogni stagione qualcosa di nuovo.

Che poi non è detto che funzioni sempre tutto, ma di 10 idee sviluppate, se anche ce ne fossero un terzo buone, è tutto un valore aggiunto.

Per questo una volta ho aggiunto il portale con le risorse del PandaLab, i contenuti video, poi Training Peaks, poi il libro, poi la newsletter...

Certo ci sarebbe mille altre idee da realizzare, alcune fattibili già da ora, altre apparentemente irraggiungibili, ma anche questo fa parte del percorso che ogni coach dovrebbe fare INSIEME ai suoi atleti.

Perchè se da loro pretendiamo sempre il meglio, non possiamo accontentarci di proporre nulla di meno del meglio! 

giovedì 29 maggio 2025

It's a process (ovvero: l'arte di vincere, ma con pazienza)

 


Un mio atleta è rimasto deluso dalla sua prestazione nella frazione podistica di un triathlon olimpico.

Quando sono andato ad analizzare i dati, sono rimasto un po' sorpreso.

Chiaramente non è stata la prestazione della vita, ma comunque è stata una buona frazione in linea con il suo livello complessivo nel triathlon (se volete sapere il passo, è stato di 4'50" al km).

Come obiettivo annuale ci eravamo proposti di lavorare e migliorare sulla distanza olimpica, e da qui posso immaginare qualche aspettativa in più però bisogna essere consapevoli che ogni miglioramento stabile, duraturo e consolidato, è il frutto di un procedimento di adattamento non immediato.

Volete un esempio?

Me stesso.

Sono andato a ripescarmi il passo di corsa che ho avuto nei 10km di alcuni triathlon sulla distanza olimpica:

2012, Lago del salto: 5'37"

2016, Roma: 4'44"

2016, Ostia: 4'44"

2017, Vico: 4'41"

2019, Sabaudia: 4'13"

2021, Sabaudia: 4'18"

2022, Ostia: 4'06"

Ci vuole determinazione, costanza e tanta pazienza, ma il lavoro fatto bene, alla fine paga.

Sempre.

It's a process, it's a process, it's a process...

mercoledì 28 maggio 2025

Le ALTRE due grandi tipologie di atleti.

 

Strong alla partenza diluviava e ho preferito non gareggiare perchè in discesa sarebbe stato pericoloso.

Strong in acqua c'era troppa ressa e non stavo a mio agio e sono tornato indietro.

Strong, appena ho inizato  la frazione di corsa ho sentito il quadricipite che tirava e per evitare di fare ulteriori danni mi sono fermato.

Strong, ho capito da subito che non era giornata oggi, meglio riprovarci il prossimo anno.

Strong mi sono accorto che ormai non riuscivo più a fare il personal best e non ho avuto più motivazione a continuare.

Strong avevo la nausea che non riuscivo più a mangiare e ho finito le energie.

Ok, lo so che con questi articoli mi sto costruendo la reputazione del coach irresponsabile che non tiene alla salute dei proprio atleti...

...ma la verità è che ci sono gli atleti che FINISCONO le gare e gli atleti che RIMPIANGONO di non averle finite.

 

martedì 27 maggio 2025

La mia Maratonina di Villa Adriana 2025


Puoi avere qualsiasi forma, puoi preparare qualsiasi gara, ma le gare podistiche vicino casa cerco sempre di onorarle.

L'edizione 2025 della Maratonina di Villa Adriana presenta un percorso ancor più impegnativo degli altri anni, con un buon 80% di sterrato (molto del quale fangoso) e 220mt di dilivello su 11km.

La mia tattica per queste gare di passaggiop nella preparazione IronMan (che ho tra due mesi) è sempre la stessa: partenza contrallata e finale spinto.

Partenza quanto mai controllata perchè sento nelle gambe ancora un po' di affaticamento per 5 ore di bici del giorno prima, soprattutto sulla coscia sinistra.

 Però a parte un po' di ritmo imballato, le  sensaizoni generali sono buone.

Così, dopo i primi 8km in controllo, decido di spingere.


Il fatto è che in un pezzo in leggero falsopiano a scendere, la gamba cede sul fango e sento la coscia compeltamente bloccata.

Tiro un urlo e faccio un rapido check.

Mi fa male, ma pare brutto non spingere gli ultimi 3km.

(Sì lo so, se avessi avuto un coach mi avrebbe insultato, ma visto che sono il coach di me stesso trovo sempre delle tolleranti giustificazioni alle mie scelte scellerate)

E la mia giustificazione è: ma che cazzo te frega, tanto a caldo la gara la finisci, ci pensiamo dopo!

Vabbè.

Allungo gli ultimi 3km in gloriosa progressione finale che mi fa staccare chi stava con me e riprendere un paio di persone davanti.

Alla fine chiudo 19° su 240 partecipanti.

Contento?

Certo, basta che non mi chiedete come sono arrivatro poi alla macchina. 











lunedì 26 maggio 2025

Le due grandi tipologie di atleti.

 

Strong, mi fa male la schiena, mi faccio vedere dal fisio e poi ti aggiorno.

Strong, stanotte ho dormito poco e male, oggi salto l'allenamento.

Strong, sento un affaticamento al polpaccio, magari per questa settimana facciamo solo nuoto e bici.

Strong, oggi pioveva a dirotto e ho preferito non correre per evitare di ammalarmi.

Strong, l'allergia in questi giorni mi sta uccidendo, riprendo da lunedì gli allenamenti.

Strong, il referto dice che non ci sono lesioni, ma il medico dice che è meglio rallentare un po'.

Potrei continuare per ore, ma sapete quale è sempre la mia risposta?

Certo, aggiornami quando stai bene.

Ma la verità è che esistono solo due tipi di atleti: quelli che si allenano e quelli che non si allenano.



venerdì 23 maggio 2025

Il concetto di fatica collegato all'intensità

Io vi conosco.

L'allenamento spesso causa frustrazione, soprattutto quando avete un obiettivo cronometrico ambizioso da conquistare.

Quel cazzo di cronometro che ci regala gioie immense per un minuto e che per lo stesso minuto manda in fumo  mesi e mesi di allenamento.

Lo so che la mattina, quando avete in programma un allenamento ad alta intensità, vi svegliate con quel pensiero in testa.

Vi vedo.

E questo spesso vi crea ansia, svogliatezza, e frustrazione che vorreste trasportarvi al minuto dopo che lo avete eseguito e godervi tutto il resto della giornata (anche se il resto significa il lavoro più duro del mondo).

Quello che vorrei dai miei atleti, tuttavia, è di non arrivare a quel punto.

E sapete come si fa?

Come all'inizio, come quando vi divertivate, ovvero non raggiungendo mai quella soglia di sfinimento.

Avete uno di quei progressivi che odiate tanto e nella vostra testa avete dei ritmi specifici?

Dieci minuti a 5'00" al km, dieci minuti a 4'30", diceci minuti a 4'00" e dieci minuti a 3'50".

Vi sentite male prima di partite perchè sapete che andrete a sputare l'anima.

Provate a ripeterlo nella vostra testa facendo tutto 30" al km più lento.

Vi suona meglio ora? Vi sembra quasi divertente andarlo a fare vero? Anzi, non vedete l'ora di andare a farlo.

E fatelo così cazzo!

Direte "ma non è allenante così!".

Ma chi cazzo ve l'ha detto.

Invece è allenante crepare dopo 30' di corsa che vi ritrovate nel punto più lontano dalla vostra partenza e ancora dovete tornare indietro?

Sì, ti sto leggendo nella mente, ho indovinato quella snesazione vero?

Se affronti così l'allenamento, fai una progressione che alla fine il tempo complessivo verrà addirittura meglio del previsto, e se non verrà meglio alemno non sei crepato per l'allenamento del giorno seguente, perchè il giorno seguente sarà la stessa storia.

Tornate a divertirvi, perchè fare sport può essere ancora bello e divertente, se lo sapete gestire.

lunedì 19 maggio 2025

200g di carbo in gara. Si può fare?

Siamo a Ironman Texas.
Cam Wurf, australiano, ex ciclista pro, ex vogatore, ex superuomo in incognito, decide che 90 grammi di carbo l’ora non gli bastano. Neanche 120.
Lui ne fa 200.
Record certificato.

Duecento.
In un’ora.
In una gara.
Con 28 gel.

Già, 28. In una gara.
Non in un ciclo di vita.
Non in un piano quinquennale.

Wurf si è presentato al via con una strategia che sembrava scritta da uno chef molecolare sotto creatina:
200g di carbo l’ora, 1500mg di sodio, bottiglie separate per liquidi e gel, Powerbar, Amacx, Mortal, Momentous.
Risultato? Record bike e mezza umanità che ora vuole fare lo stesso.

Spoiler: non è replicabile.

Ah non posso farlo anche io?

No.

200g/h è come guardare un atleta olimpico fare i 100m in 9.5 e dire: “Ci provo anch’io domani"

La strategia non è il volume, ma la gestibilità

Il punto non è quanto puoi mangiare, ma quanto riesci a gestire in gara senza implodere.
Ci sono atleti che fanno 120g/h e vanno da dio.
Altri che a 70 hanno già la nausea e guardano la borraccia con rancore.

E quindi?

  • Vuoi provare a salire oltre i 90g/h? Fallo in allenamento. Uno a settimana. E controlla gli effetti.

  • Sei in crisi con la fame post-allenamento? MANGIA DURANTE!!!!!!!!!!.

  • Non copiare Cam Wurf. Lui è Cam Wurf. Tu sei tu (e meglio non specificare ulteriormente, perchè ci siamo capiti vero?).

 


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