lunedì 12 agosto 2024

La metafisica del triathlon



Vanno benissimo tutte le cose analizzabili, i watt, la frequenza cardiaca, il passo.

Chiaramente, li possiamo identificare, isolare, analizzare e trarne le conseguenze.

La determinazione di compiere un passo in più, l'emozione che abbiamo durante un momento particolarmente coinvolgente della nostra gara, ma anche la decisione di voler gestire una determinata fase in uno specifico modo (più veloce o più lento del previsto), così come (ancora) la percezione che abbiamo di tutto quello che riguarda il nostro procedere (dal nostro corpo ai fotti esterni), cosa sono "invece"?

Sono, altrettanto chiaramente, cose reali, definite ed esistenti sebbene non tangibili ed esaminabili e per questo la scienza per quanto imprescindibile non esaurisce la ricerca umana non solo nella quantità ma nel campo.

L'essenza di quelle e di altre entità risiede già nell’identificarle e definirle: se qualcosa posso riconoscerla non può non esistere.

Neppure è un atto chiuso che rimane tra il pensante (io) e il pensato (mio), perché è chiaramente identificabile,  riconoscibile e interagibile da molti.

Se la scienza si può limitare a circoscrivere un processo del genere nell’ambito del positivismo medico, deve necessariamente cedere il passo (immagino per molti con vergognosa e inesprimibile sconfitta) alla metafisica, oppure addure implausibili motivazioni.

Siamo ancora a una distanza siderale dai campi esprimibili dalla scienza e l'illusione che lo scoperto possa aver una rilevanza prioritaria sul non scoperto mi regala sempre un sorriso.

Sebbene, riconosco, strappi ancora più sorrisi ai suoi rigorosi seguaci quando leggono i miei vaneggiamenti.

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