Abbiamo sempre detto che è un errore gravissimo trattare (e allenare) gli atleti amatori come atleti professionisti.
Caricarli di chilometri con volumi settimanali mostruosi che annullano qualsiasi altra attività alternativa allo sport, resta il miglior modo per rovinare la vita ad un appassionato.
Su questo già in passato abbiamo detto (e per fortuna in generale si è detto) già abbastanza.
Tuttavia, vedo pericolosamente derive anche dalla parte opposta, ovvero sconfinamenti dei professionisti nelle abitudini degli atleti amatori, con potenziali devastanti conseguenze.
Vedo e leggo sempre più atleti elite parlare di "migliorare la propria resilienza", "prestazioni soddisfacenti", "superare i propri limiti"...
Ma così si perde il focus dell'obiettivo....
Anche nei programmi televisivi (penosi, detto tra noi,) dove si parla di triathlon (o meglio, dove si parla di aziende che sponsorizzano qualcosa sul triathlon), la fase centrale è sempre quella dell'esaltazione individuale, come se il triathlon fosse uno sport si vince a prescindere.
Per gli amatori, forse.
L'obiettivo del professionista non dovrebbe essere superare i propri limiti ma superare i propri avversarsi.
L'esempio che preferisco è quello di Matthew Centrowitz, che vinse l'oro olimpico a Rio nei 1500 con un tempo altissimo (per loro, naturalmente), anche più alto della corrispettiva gara delle Paraolimpiadi.
Centrowitz ha saputo interpretare splendidamente una gara che aveva poco a che fare con la "resilienza", con "la soddisfazione" o con i "limiti".
Aveva a che fare con vincere la medaglia d'oro olimpica.
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